Claudio Verna è figura chiave e fondatore del movimento artistico “Pittura Analitica”. Le sue opere sono alimentate dal colore, dalla luce, dalla vita. Il CIAC di Foligno (Centro Italiano Arte Contemporanea) ospita dal 26 ottobre 2024 al 12 gennaio 2025 la mostra “Claudio Verna. La profondità nella superficie”, a cura di Italo Tomassoni. L’educazione artistica di Claudio Verna, classe 1937, ha preso forma in Umbria per proseguire poi con una lunga carriera in particolare a Firenze e Roma, numerose mostre collettive e rassegne internazionali. Le sue pitture si distinguono per un’espressività matura, caratterizzata da estremo rigore e intenso abbandono emotivo. Protagonista assoluto dei dipinti di Verna è il colore e la sua capacità di assumere i valori massimi della saturazione e della luce.

La mostra è promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno; l’organizzazione è realizzata in collaborazione con Maggioli Cultura e Turismo. L’inaugurazione si terrà sabato 26 ottobre, alle ore 11.

La “Pittura Analitica”, di cui Claudio Verna è interprete di punta, fa della pittura l’oggetto dell’indagine della pittura a partire dalle sue componenti fondanti (superficie, supporto, colore, segno) tanto da essere stata definita, tautologicamente, anche “Pittura Pittura”. Claudio Verna non è solo pittore. Scheda le sue opere con la precisione analitica di un archivista. Redige per ogni quadro la scheda bibliografica tracciandone minutamente percorso e relazioni. E, soprattutto, dipinge in piena complicità con la sua scrittura che mantiene rigorosamente dentro il confine di ciò che dipinge per indagarne potenzialità e limiti. Pur non esaurendosi nelle sue opere, la sua scrittura è il riflesso di un pensiero che lo condiziona anche nella disciplina materiale, in un rapporto tra artista e opera che è stato sempre attivo nella storia dell’arte ma che, oggi, si è affievolito in favore di un’immediatezza pragmatica e curatoriale che pensa di poter fare a meno del pensiero e dell’interrogazione sull’arte.

Spiega il curatore Italo Tomassoni: «Verna descrive la pittura in sé, nelle sue componenti, nella sua assiomatica, nei suoi principi fondanti rapportati al mondo. Ne esamina i valori di base; conferisce senso e istituisce collegamenti tra le  componenti dell’opera e la fruizione esterna; torna incessantemente al centro della problematica fino a constatare quanto sia riduttiva la concezione di una pittura che si arresti solo alla superficie e al supporto. Lo intrigano le potenzialità profonde dello spazio e del colore, le molteplici  virtualità visive e percettive che dalla superficie si dilatano all’esterno o all’interno, in altezza e in profondità,  in successioni dinamiche e stasi che riguardano il fare e il contemplare, i pieni e i vuoti dello spazio figurale (gestalt), l’opera compiuta e il Reale. Tutto avviene nell’officina della pittura o nella “cucina” della pittura. Nessun ricorso a materiali che non siano i pigmenti nobili del dipingere; insomma lascia che tutto derivi dal gioco delle sovrapposizioni e dei timbri su cui si dilatano il fascino e il senso delle possibilità espressive compresse nel corpo dell’opera. Su questi principi Verna rivendica la verità della sua pittura. Sa che la storia dell’arte è pur sempre una storia di verità, anche se questa categoria trascendente è stata concepita per non arrivare mai a una risposta. E poiché l’idea di verità appartiene all’estetica perché è un prodotto dell’arte, la domanda che anche lui si pone è: esiste una verità in pittura? Se, al riguardo, Verna provasse a tracciare una genealogia della pittura come Nietzsche ha tracciato una genealogia della morale, si accorgerebbe che la verità della pittura consiste in quell’eterno metamorfismo che ha costruito l’edificio della storia dell’arte. Scoprirebbe che nessuna verità è data o è rintracciabile una volta per tutte e in un solo momento. E infine, nel tempo in cui svolge la sua ricerca a cavallo tra Novecento e Duemila, constaterebbe che non esiste più neppure la antica dialettica bello/brutto che infatti, con il secolo XX, è stata destrutturata e non ha più senso compiuto. Conclusione: il tragitto della pittura non ha un fine e non ha neppure fine. È la storia di ogni quadro, del suo centro, del suo perimetro e della sua cornice che fanno tutt’uno con l’opera. Sono l’orlo, la superficie e il centro della pittura».

Nella pittura di Claudio Verna emerge anzitutto l’assetto geometrico di ogni quadro, la forma del supporto e del margine che, invariabilmente, coincidono con una configurazione della  geometria classica: il quadrato, il rettangolo, qualche volta il cerchio. Verna è persuaso che nella pittura contemporanea la forma del quadro non è solo delimitazione del perimetro dell’immagine, ma dato costitutivo della figurazione che si esprime anche attraverso i suoi orli. Poi, all’interno del margine, ulteriori assetti si articolano, in sequenza, combinandosi con il colore che, a sua volta, si configura come entità che riveste il supporto, e fa da argine a verità nascoste dietro il suo velo. Il segno, sigillando il risultato finale, apre alle differenze collegando spazio e colore dentro il contesto performativo della verità finale.

Sottolinea il curatore Tomassoni: «È palese che già l’analisi delle componenti dell’opera orienta l’indagine verso dispositivi  che stanno “dentro” la pittura e non si arrestano né alla sola resa visiva di superficie, né ai valori materiali del supporto, ma tendono a liberare le semantiche intrinseche agli elementi costitutivi, concorrendo al conseguimento dell’unità che di questi elementi è la finalità espressiva compiuta. I bordi, in particolare, sono sempre stati un tratto peculiare e rivelatorio del linguaggio di Verna, specificamente concentrati sugli orli sia del perimetro dell’opera che dei perimetri delle forme interne al corpo; percepiti come zone nevralgiche di confine dalle quali è possibile dare un’occhiata furtiva all’intimità del tessuto del quadro per carpirne segreti o interagire con essa per marcarne conformità, varianti, rivelazioni inaspettate e sviluppi ulteriori».

La pittura di Claudio Verna

Claudio Verna nasce a Guardiagrele, in provincia di Chieti, nel 1937.

Ha iniziato a dipingere in età adolescenziale, da sempre attratto da un motivo dominante: il colore di Matisse. Volendo segnare l’esordio della sua ricerca matura, lui stesso lo data al 1961 affidandolo a un “Cromoracconto” la cui geometria, ancora incerta, si emancipa con difficoltà dalle scorie dell’informale appena trascorso. Residuano, in quest’opera, indulgenze nell’uso della materia che viene fatta coincidere con un impasto cromatico che  comprime gli spessori e tende ad adeguare gli spazi al tonalismo del fondo. È come se la geometria tendesse a concentrarsi in sé stessa per liberarsi dalla fisicità della materia e guadagnare una divisione spaziale garantita dal colore. È un’opera-sonda che riveste rilievo esegetico perché, nella  ripartizione degli spazi, rivela l’annuncio delle configurazioni che caratterizzeranno i futuri programmi formali e  semantici. Ben presto infatti il rigore geometrico, liberatosi dalla materia, impone le sue regole sgombrando il campo anche dalle suggestioni liciniane cui, pure, talvolta liricamente si ispira. Ogni figura sviluppa la sua economia dentro il perimetro del quadrato e del rettangolo eludendo, in queste prove inaugurali, la figura del cerchio quasi potesse compromettere il controllo del limite definito. Le forme esplorano prevalentemente la verticalità che tende a dominare il campo. Come nel Neoplasticismo di Mondrian e Vantongerloo, i campi geometrici di Verna esauriscono lo spazio, sono lo spazio differenziandosi, ad esempio, dalla figurazione di Max Bill che distingue la forma cromatica rappresentata dal fondo che la isola mentre la evidenzia. In questa fase la componente luminosa,   sulla nitidezza dei fondi, si decanta per differenza rispetto all’oscurità delle superfici nere o blu inchiostro; salvo ricomparire come trasparenza in merletti pittorici o come emersione di segreti effetti di controluce. In queste prove l’interno del tessuto pittorico viene gradualmente restituito allo sguardo come dal bagno dello sviluppo fotografico o dalla lastra di un tracciato radiografico che ne evidenzia le trame interne e il segreto rizoma.

Se la geometria resta il telaio strutturale sul quale viene tessuta ogni trama, bisognerà attendere la fine dei Settanta per registrare le prime, significative insorgenze del colore che increspa, unitamente a vibrazioni gestuali, la compattezza dell’istanza geometrica. Entrato in sinergia serrata con il colore, il segno diventa protagonista rispetto agli assetti fermi del fondo. Più ancora che a un intervento diretto dell’artista, questa decisiva evoluzione “cinetica” appare provocata dal rinnovamento interno dei processi formali che, riflettendosi su sé stessi, movimentano una circolazione profonda produttrice di inattese rivelazioni nascoste.

Il protagonismo del colore diventerà totalizzante alla fine del ‘900, instaurando un cardine linguistico inconfondibile, vero marchio di fabbrica di una pittura che rimarrà inalterato, in ogni variazione, per tutti gli anni Duemila, fino ad oggi.

Verna attribuisce alle sue opere titoli vagamente criptici (“Studiolo”, “Afasia lacerata”, “Mappa segreta”) o scopertamente poetici (“Arcipelago”, “Altrove”, “Inatteso”, “Noir animal”); usando frequentemente anche il termine “pittura” o il nome del colore dominante (“Blu”, “Giallo”, “Lo Scuro”, “Rosso”). Soprattutto con queste ultime, insistenti intitolazioni, Verna conferma la necessità di azzerare ogni tentazione contenutistica per lasciare esclusivamente  al quadro l’indicazione della propria identità. Il colore ha dunque assorbito in sé, e risolto nella sua fisicità, ogni istanza collaterale riducendola alla sua egemonia e saturando lo spazio che, peraltro, su questo orientamento, non flirta mai con il monocromo (“Saturo”, “La scuola di Pechino”, “Oxide”, “Una lettera di Piero”, “L’espace pictural”, “Chamoise de Titane”).

Ed è proprio su questa differenza che la pittura di Verna evita la contaminazione e marca la sua esaltante differenza non solo con il  monocromatismo in voga, ma anche rispetto alla ricerca dei suoi compagni di strada. Ogni colore non è mai scaricato sulla sua autoreferenza. Tende ogni volta a trasfigurarsi,  traspira vita e chiede lo scambio con l’energia della vita. Animato da un fondo corpuscolare che rende la superficie recettiva della minima vibrazione, sensore finissimo dell’impercettibile, naturale o spirituale, il colore suggerisce mappe di circolazioni arteriose, distese leggere di neve, cenere o terra, coaguli di sangue, di latte o di liquido seminale, polvere o ombre, fiori e dissolvenze con cui i focolai cromatici  illuminano l’immaginario di un “Esprit de finesse” conformato su un esprit che non è più de geometrie. Ciò che resta dell’antico rigore geometrico traspira come filtraggio in controluce (“Nonostantetutto”) o lacerto, o margine invalicabile a ribadire i valori irrinunciabili  della forma (“La crau”).

COORDINATE MOSTRA

Titolo: “Claudio Verna. La profondità nella superficie”

Sede: CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea), Via del Campanile 13, Foligno (Pg)

Data: 26 ottobre 2024 – 12 gennaio 2025

Orari di apertura: dal giovedì alla domenica 10.30-13 / 15.30-18.

Biglietto: Intero € 8,00; Ridotto A € 6,00 (gruppi con più di 15 unità, convenzionati Soci FAI e Soci Touring Club Italiano); Ridotto B € 3,00 (bambini da 6 a 18 anni); Gratuito bambini fino a 5 anni, guide turistiche, giornalisti, portatori di handicap e loro accompagnatori. Il biglietto comprende la visita alla collezione permanente al CIAC della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno e all’Ex Chiesa della SS. Trinità, spazio espositivo permanente dell’opera “Calamita Cosmica” di Gino de Dominicis.

Contatti: tel. 366.6635287 – e-mail: info@ciacfoligno.itwww.ciacfoligno.it